I disturbi d’ansia
La categoria dei disturbi d’ansia comprende una varietà di disturbi diversi fra loro. Per molto tempo questi disturbi sono stati considerati, nella scia delle concettualizzazioni freudiane, forme di nevrosi. Questi disturbi vennero concettualizzati grazie al lavoro clinico svolto da Sigmund Freud sui suoi pazienti; di conseguenza, la categoria diagnostica delle nevrosi finì per essere inestricabilmente connessa con la teoria psicanalitica.
Con il passare del tempo, molti terapeuti iniziarono a mettere in discussione la validità del termine “nevrosi”, perché diventato troppo esteso e onnicomprensivo, e rischiava di perdere di significato. A partire dalla terza versione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e specialmente nella quarta (ed ultima, allo stato presente), le vecchie categorie delle nevrosi vengono ridistribuite tra nuove e più precise categorie diagnostiche; fra queste i disturbi d’ansia.
Per ansia oggi si intende l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia e da sintomi fisici di tensione che possono avere forti ripercussioni nella vita affettiva, sociale e nell’affermazione professionale.
L’ansia, presa a sè, è un fenomeno del tutto normale in quanto è un’emozione che prepara ed attiva l’organismo in situazioni che potrebbero essere pericolose.
Diviene invece un disturbo emotivo spiacevole quando lo stato di allarme e paura è “esagerato” rispetto ai reali pericoli o se i pericoli non ci sono affatto.
In questo caso l’ansia non è adattiva, ma diventa un problema che può rendere la persona incapace di controllare le proprie emozioni e di affrontare anche le situazioni più semplici. Si possono quindi distinguere due tipi di ansia; quelle denominata di stato e quella denominata di tratto. L’ansia di stato è concettualizzata “come uno stato transitorio emozionale o come condizione dell’organismo umano, caratterizzata da sentimenti soggettivi percepiti a livello cosciente di tensione ed apprensione, e dall’aumentata attività del sistema nervoso autonomo. Può variare nel tempo e fluttuare nel tempo” ( Spielberger et al., 1970). L’ansia di tratto, invece si riferisce per “ differenze individuali relativamente stabili, nella disposizione verso l’ansia, cioè a differenze tra le persone nella tendenza a rispondere con elevazioni dell’intensità dell’ansia di stato a situazioni percepite come minacciose” (Spielberger et al., 1970).
I disturbi d’ansia si caratterizzano per il fatto che il sintomo più rilevante…
è la paura, o ansia. Benché paura e ansia possono avere il valore di sinonimi, si tende ad usare il termine di “paura” in riferimento a uno stimolo o un evento concreto e presente, mentre si tende a usare “ansia” per indicare che lo stimolo o l’evento scatenante è vago, non identificabile, o proiettato nel futuro.
Il disturbo d’ansia può essere un disagio psicologico a sè stante oppure un sintomo di altri disturbi psicologici (ad es. depressione).
Può manifestarsi a livello emotivo come un’attesa apprensiva, accompagnata da preoccupazione ed insicurezza, anticipazione di eventi negativi; e a livello somatico con aumento del ritmo cardiaco, sudorazione, spasmi muscolari, pallore, tremori, vertigini, e nei casi più estremi reazioni di fuga, immobilizzazione, sensazione di soffocamento o di costrizione toracica.
I disturbi d’ansia, secondo il DSM-ΙV, comprendono le seguenti categorie nosografiche: disturbo di panico (con o senza agorafobia), agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico, fobia specifica, fobia sociale, disturbo ossessivo – compulsivo, disturbo post-traumatico da stress, disturbo acuto da stress, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo d’ansia dovuto da una condizione medica generale, disturbo d’ansia indotto da sostanze, disturbato d’ansia non altrimenti specificato.
Il disturbo d’ansia generalizzato.
Il disturbo d’ansia generalizzato è caratterizzato da ansia e preoccupazioni croniche ed eccessive. Si parla di “generalizzazione”, perché ansia e preoccupazioni riguardano un vasto numero di eventi e di attività, che vengono elaborati come potenzialmente pericolosi, piuttosto che un numero limitato di situazioni specifiche. Il “disturbo” viene considerato tale quando: l’ansia e la preoccupazione, causino disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti; l’ansia e le preoccupazioni si manifestino per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi e la persona abbia difficoltà nel “controllare” la preoccupazione. Infine nel disturbo devono essere presenti almeno tre di questi sintomi: irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazione del sonno. Le persone con disturbo d’ansia generalizzato, a differenza degli altri disturbi d’ansia, hanno molta difficoltà a ricordare l’esordio del loro disturbo, e molto spesso riferiscono che i sintomi principali erano già presenti in loro durante l’infanzia; anche gli eventi di vita stressanti sembrano avere qualche ruolo nella sua insorgenza (Blazer, Hughes e George, 1987). Inoltre presenta un alto grado di comorbilità con altri disturbi d’ansia o con disturbi dell’umore. (Brown, Barlow e Liebowitz, 1994).
Disturbo post-traumatico da stress.
Questo disturbo è conseguente a eventi traumatici estremi vissuti dalla persona. Eventi che causino morte o che minacciano di morte o che provochino lesioni gravissime o che minacciano l’integrità fisica della persona o di altri, ai quali la persona assiste con sentimenti di impotenza, di orrore e di fortissima paura, provocando così un elevata reazione di ansia.
Durante e dopo l’esposizione a eventi stressogeni, possono presentarsi sintomi dissociativi, quali: sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, o assenza di reattività emozionale; riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante e stordimento; derealizzazione; depersonalizzazione, amnesia dissociativa, cioè incapacità di ricordare qualche aspetto particolare del trauma. Un sintomo caratteristico di questo disturbo è la tendenza a rivivere di continuo l’evento traumatico. La persona vive stati dissociativi, cioè è come se l’evento gli si ripresentasse, oppure avverte sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi di flashback.
Un altro comportamento cruciale del disturbo è costituito dall’evitamento degli stimoli associati con l’evento e dall’ attenuazione della reattività generale. La persona cerca di evitare di pensare al trauma o di essere esposta a stimoli che possano riportarglielo alla mente. L’abbassamento della reattività generale si manifesta nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità, e nell’incapacità di provare emozioni positive. Questi sintomi sembrano essere contraddittori con quelli esposti poco più su; in realtà il disturbo post-traumatico da stress è caratterizzato da fluttuazione, ovvero dal passaggio attraverso fasi alterne in cui la persona dimentica l’esperienza traumatica e altre in cui essa riaffiora violentemente. Infine sono presenti sintomi di aumentata attivazione fisiologica. Questi sintomi comprendono la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, la difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme. Studi di laboratorio hanno confermato questi sintomi clinici documentando l’aumento della reattività fisiologica nei pazienti affetti da disturbo post-traumatico da stress; aumento finalizzato a combattere le immagini prodotte dalla loro mente e la notevole intensità delle loro risposte di allarme (Orr et al., 1995).
Questa sintomatologia può, in buona parte dei casi, risolversi favorevolmente in breve tempo, con uno sostegno adeguato. In altri casi invece la sintomatologia persiste e interferisce sul normale funzionamento individuale, sociale e lavorativo del soggetto. In questi casi, ove il disturbo persista oltre le quattro settimane successive al trauma e persista per oltre un mese, si parla di disturbo post-traumatico da stress.
Molte persone si ritrovano a vivere esperienze traumatiche, ma non tutte sviluppano il disturbo post-traumatico da stress. Da un recente studio, per esempio, è emerso che solo il 25% delle persone passate attraverso un evento traumatico con conseguenti lesioni fisiche, aveva in seguito sviluppato il disturbo (Shalev et al., 1996). Si può quindi concludere che l’evento in sé non può essere l’unica causa del disturbo. Attualmente la ricerca in questo campo sta tentando di individuare quali fattori distinguano gli individui che in seguito a un grave trauma sviluppano il disturbo post-traumatico da stress da quelli che non lo sviluppano.
Disturbo di panico.
Il disturbo di panico è caratterizzato da un’ intensa apprensione, paura e terrore di rivivere un attacco di panico, durante il quale possono essere avvertiti i seguenti sintomi: palpitazione e tachicardia, sudorazione, tremori, dispnea e sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, derealizzazione e depersonalizzazione, paura di perdere il controllo ed i impazzire, paura di morire, brividi e vampate di calore.
Uno degli aspetti che rendono l’attacco di panico fondamentalmente diversi dalle altre manifestazioni d’ansia è la convinzione, almeno al momento dell’attacco, della natura “fisica” del sintomo. Infatti nei disturbi d’ansia sono in primo piano gli aspetti emozionali, e sono lasciati sullo sfondo gli sintomi fisici; mentre nell’attacco di panico i pazienti descrivono invariabilmente l’attacco in termini fisici, in riferimento ad organi e malattie.
Gli attacchi di panico possono verificarsi di frequente, per esempio una volta alla settimana o persino più spesso; in genere durano qualche minuto, raramente si protraggono per ore; a volte risultano associati a situazioni specifiche, per esempio guidare l’auto. Quando sono fortemente associati a fattori scatenanti di tipo situazionale, vengono definiti attacchi di panico causati dalla situazione (o provocati dalla situazione); quando tra l’esposizione allo stimolo e l’attacco esiste sì una relazione, ma meno forte rispetto al caso precedente, si parla di attacchi di panico sensibili alla situazione. Molto spesso tra un attacco di panico e l’altro è presente una forte ansia da anticipazione. Infine, gli attacchi possono verificarsi anche in presenza di stati mentali in apparenza benigni, come durante il rilassamento o il sonno, oppure in situazioni in cui paiono essere del tutto ingiustificati; in questi casi si parla di attacco di panico inaspettati (non provocati).
Secondo le direttive del DSM IV tale disturbo d’ansia prevede la presenza oppure l’assenza di agorafobia. L’agorafobia (dal greco agorà, che significa “piazza del mercato”) è un insieme di varie paure che hanno principalmente per oggetto i luoghi pubblici e frequentati, dai quali potrebbe essere difficoltoso allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto nel caso che l’individuo venga colpito da un attacco di panico. Semplificando molto le cose, si potrebbe riassumere l’agorafobia come la paura di avere un attacco di panico. Sono presenti la paura di andare per negozi a fare compere, la paura di ritrovarsi in mezzo alla folla e quella di viaggiare. Chi soffre di agorafobia prova spesso un forte disagio nell’allontanarsi di casa, e può anche evitare completamente di farlo. In questi casi si parla di disturbo di panico con agorafobia.
Le fobie specifiche e le fobie sociali.
Una fobia specifica è rappresentata da una paura marcata, persistente irragionevole o sproporzionata per stimoli precisi o situazioni circoscritte e chiaramente discernibili. Questa paura induce l’individuo ad assumere una condotta di evitamento, che riconosce essere irragionevole. Tra le fobie più diffuse sono presenti la paura delle altezze (acrofobia), la paura dei ragni (aracnofobia), la paura dei serpenti (ofidiofobia), la paura del sangue e delle ferite (emofobia), la paura degli spazi chiusi (claustrofobia), la paura dei luoghi pubblici (agorafobia), la paura di essere sepolti vivi (tafofobia) e la paura dei cani (cinofobia).
Le fobie specifiche sono paure ingiustificate, causate dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o di una situazione specifici. Molte paure specifiche non causano problemi così invalidanti da spingere la persona a cercare un aiuto esterno. Se, per esempio, una persona affetta da una estrema paura dei serpenti vive in un’area metropolitana, molto probabilmente avrà ben pochi contatti diretti con l’oggetto della sua paura, per cui si convincerà di non soffrire di alcun problema serio. Il discorso sarebbe ben diverso se la persona in questione vivesse in una zona in cui è presente un grande numero di serpenti. Il termine fobia in genere implica una sofferenza psicologica soggettiva e una menomazione del funzionamento sociale o lavorativo come conseguenza dell’ansia.
La fobia sociale è caratterizzata da una paura marcata e persistente relativa a situazioni sociali o “prestazionali”. La persona teme di agire e comportarsi in modo inadeguato in presenza di persone non famigliari, di provare imbarazzo, vergogna e umiliazione. Conseguentemente le situazioni sociali sono evitate, nei casi meno gravi sono tollerate a fatica. Le persone possono provare manifestazioni violente di rossore, di sudorazione e di malessere gastrointestinali. Oltre all’ansia nel corso dell’esposizione, può manifestarsi un ansia anticipatoria, per esempio preoccuparsi giorni o ore prima di un evento sociale difficilmente evitabile; questo può determinare un circolo vizioso che auto-alimenta l’ansia.
Il DSM-IV distingue un sottotipo di fobia sociale, definita “generalizzata”. Questo sottotipo si riferisce alla paura della maggior parte delle interazioni sociali; le persone con questo tipo di fobia possono presentare più problemi e difficoltà e tendono a sviluppare depressione, alcolismo e altri disturbi d’ansia. Lo sviluppo del problema, di solito risale all’adolescenza. Tanto più grave e diffuso è il problema, maggiore è la sua cronicità.
Disturbo ossessivo-compulsivo
Il disturbo ossessivo-compulsivo è un disturbo d’ansia in cui la mente è invasa da pensieri persistenti e incontrollabili, o in cui la persona è spinta irresistibilmente a ripetere di continuo certi atti; ne conseguono un notevole disagio psicologico e una rilevante interferenza con le attività della vita quotidiana.
Per ossessioni si intendono appunto, pensieri, impulsi o immagini mentali, che sono ricorrenti e persistenti, che causano ansia o disagio marcato e che sono vissuti dall’interessato come intrusivi e inappropriati. La persona è perfettamente consapevole che detti pensieri sono prodotto della sua mente, e tenta dunque di “neutralizzarli” con altri pensieri o attraverso azioni. Le ossessioni sono dette “egodistoniche” perché rappresentano un tipo di pensieri che contrasta con le convinzioni radicate della persona.
Le compulsioni sono comportamenti, come lavarsi le mani più volte o controllare e ricontrollare, che la persona si sente in dovere di compiere per ridurre il disagio che accompagna l’ossessione o per prevenire qualche evento temuto. La persona si rende conto dell’irragionevolezza della compulsione e tenta di resisterle, invano. Le compulsioni più comuni sono quelle relative alla pulizia e l’ordine.
Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni che causino marcato disagio, impegnando la persona nei rituali almeno un’ora al giorno, e che interferiscano significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo, scolastico, e le relazioni sociali.
Le tecniche di trattamento.
È stato dimostrato che la psicoterapia è più efficace di ogni altro tipo di terapia da sola nell’alleviare i disturbi dell’ansia e ridurre le sue conseguenze sull’organismo.
Le psicoterapie possibili sono diverse, per esempio:
1. Psicoterapia ericksoniana
2. Psicoterapia cognitivo-comportamentale
3. Psicoanalisi
4. Psicoterapia sistemico-relazionale
5. Psicoterapia dialettica
Riporto brevemente le tecniche di intervento di alcuni di questi approcci psicoterapeuti, per cercare di capirne il funzionamento.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è una delle più diffuse psicoterapie fra le psicoterapie brevi per la cura dell’ansia. L’obiettivo del terapeuta cognitivo-comportamentale è di ridurre il comportamento di evitamento ed aiutare il paziente a sviluppare abilità di coping (fronteggiare le situazioni). Questo può comportare:
• Sfidare credenze false o auto-lesionistiche
• Sviluppare l’abilità di parlare a sé stessi in modo positivo (self-talk positivo)
• Sviluppare la sostituzione di pensieri negativi
• Desensibilizzazione sistematica (usata principalmente per l’agorafobia e le fobie specifiche)
• Fornire conoscenza al paziente che lo aiuterà a fronteggiare le situazioni (per esempio se qualcuno soffre di attacchi di panico, gioverà l’informazione che le palpitazioni in se stesse, anche se rapide e prolungate sono del tutto innocue).
La terapia cognitiva-comportamentale, dunque, si limita a osservare i comportamenti visibili che la persona mette in atto, cercando di risalire ai pensieri che li hanno prodotti, al fine di sostituire quei pensieri disfunzionali, con schemi logici meno carichi di emotività. Oltre alla terapia convenzionale, vi sono dei programmi cognitivo-comportamentali che i pazienti possono svolgere a casa come parte della loro cura. La psicoterapia cognitivo-comportamentale interviene, dunque, solo sulle aree vigili della coscienza individuale, non sulle aree subliminali e, soprattutto, non interviene sulle aree opposte alla coscienza in quanto inconsce; come la terapia psicoanalitica.
La psicoanalisi si basa sull’idea che la personalità umana è composta di pensieri consci e pensieri inconsci. L’esistenza dell’inconscio è deducibile sia da perturbazioni della coscienza non altrimenti spiegate, sia dalla semplice prova di esistenza di dati psichici quali sogni, lapsus, visioni, deliri e appunto sintomi che segnalano, nella loro apparente irrazionalità, che i nessi causali stabiliti dalla coscienza ordinaria non esauriscono le spiegazioni possibili. Per capire i fenomeni psichici occorre allora spiegare il sottofondo della cognizione che è l’emozione, il sottofondo della coscienza individuale che sono i patterns emotivi (le risposte emotive) universali e i sistemi simbolici che l’umanità, nelle sue differenti culture, ha creato per rappresentarli. Relativamente ai disturbi d’ansia, Freud afferma che l’individuo sperimenta l’ansia nel momento in cui le sue motivazioni inconsce (aggressive ed erotiche) entrano in conflitto con le istanze morali rappresentate dal super-io. Nella sua interpretazione, un individuo entra in ansia allorché scopre di avere desideri o di alimentare conflitti che le sue figure di riferimento (padre, madre, famiglia, precetti morali interiorizzati) condannerebbero. L’ansia (e di seguito ogni sintomo derivato) segnala il pericolo di una condanna morale, quindi anticipa o sostituisce il senso di colpa. Quindi la terapia psicoanalitica agisce in modo da risolvere quel conflitto inconscio che l’individuo manifesta come ansia.
La psicoterapia dialettica (o struttural-dialettica) è una moderna evoluzione del pensiero psicodinamico. Secondo la teoria psicodialettica ogni essere umano ha due bisogni fondamentali: il bisogno di appartenenza/integrazione sociale (che organizza i legami affettivi e sociali) e il bisogno di opposizione/individuazione (che organizza l’autonomia affettiva e morale individuale). L’ansia nasce allorché l’individuo con identificazioni e legami affettivi intensi entra in conflitto con essi in virtù del bisogno di uno sviluppo personale autonomo. Minacciato nel suo equilibrio pregresso, l’io produce allora paura, inibizioni e sensi di colpa più o meno coscienti. Ciò può accadere a qualunque età, nell’infanzia, come nell’adolescenza, come nella maturità, fermo restando il fatto che più precoce è il conflitto più radicali sono i “danni” a carico della personalità adulta. Questo tipo di terapia prevede: l’analisi del dato storico-sociale, l’analisi del conflitto morale, il cambiamento di valori morali, la definizione della struttura di base, la narrazione autobiografia e infine l’azione orientata dalla propria autentica e libera sensibilità affettiva e morale.
Trattamento farmacologico.
I disturbi d’ansia possono essere trattati anche farmacologicamente, infatti i sintomi acuti dell’ansia possono essere controllati con farmaci ansiolitici come le benzodiazepine. Il diazepam (valium) era uno dei primi farmaci di questo tipo. Oggi vediamo una vasta serie di farmaci anti-ansia che sono basati su benzodiazepine, sebbene solo due sono state approvate per gli attacchi di panico, Klonopin e Xanax. Tutte le benzodiazepine provocano assuefazione e l’uso prolungato dovrebbe essere attentamente monitorato da un medico, preferibilmente uno psichiatra. È molto importante che una volta messo a regime l’uso regolare di benzodiazepine, l’utente non dovrebbe interrompere la cura bruscamente.
Alcuni dei SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors) sono stati usati con vari gradi di successo per curare pazienti che hanno ansia cronica, i migliori risultati si sono visti con quelli che esibiscono sintomi di depressione clinica e contemporaneamente un disturbo di ansia generalizzata. I beta-bloccanti vengono anche usati per curare i sintomi somatici associati con l’ansia, specialmente l’insicurezza della “paura del palcoscenico”.
Molti studiosi credono che le benzodiazepine e altri farmaci anti-ansia siano eccessivamente prescritti e portano potenzialmente assuefazione. Il fatto che la classe delle benzodiazepine portino dipendenza diventò chiaro nella metà degli anni sessanta, quando il Valium (diazepam), il primo psicofarmaco della sua classe ad essere approvato dalla FDA (Federal Drug Administration), che risultò in migliaia di persone che rapidamente mostravano i sintomi classici della dipendenza quando veniva usato costantemente per più di una settimana o due.
La benzodiazepina che porta dipendenza più delle altre sembra essere Xanax a causa del suo inizio rapido e la emivita nel flusso sanguigno. Lo Xanax ha anche la dubbia prerogativa di essere la sola benzodiazepina che richiede il ricovero in ospedale in caso di interruzione come precauzione contro gli attacchi pericolosi e qualche volta fatali che sono parte del processo di disintossicazione. Nessun altro farmaco in questa classe ha mostrato questo effetto collaterale mortale, sebbene l’interruzione brusca di qualunque benzodiazepina può risultare in dolore allo stomaco, crampi, aumento dell’ansia, insonnia ed altri segni della privazione.