Capirsi fra le parole domenica, Gen 27 2008
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Parole tanto per capirsi
Talvolta partire dal significato etimologico di un termine aiuta ad approssimarsi ad un significato complesso quanto profondo quale il valore dello spazio privato per una persona, che è anche rappresentazione mentale di tale spazio.
Habere in latino significa stare, possedere e da questo verbo deriva habitus, che indica l’aspetto esteriore, la qualità, la caratteristica.
“Abito”, come anche “abitare” e “abitudine”, è l’espressione visibile di una parte della nostra personalità.
La personalità di ognuno non è qualcosa di stabile e immutabile, può variare nel corso della vita, ma questa variazione necessita di tempi e modi che il soggetto stesso sceglie. Se non c’è adesione da parte del soggetto, la modifica di un comportamento o di un tratto di personalità può essere percepita come egodistonica o tradursi semplicemente in una forma di compiacenza provvisoria.
Il proprio sé risiede anche nelle nostre abitudini e il nostro abitare uno spazio è uno stare “seduti”, uno stabilirsi su riferimenti costanti. Come la nostra personalità si “stabilisce” su tratti costanti, fra l’abitare e l’espressione della personalità c’è un indubbia relazione.
Da ciò si deduce quanto i conflitti possano produrre problemi, in quanto mettono in crisi elementi che favoriscono il costituirsi, durante il percorso di vita di ognuno, della struttura di personalità.
1.a.Filologia del conflitto
Il termine “personalità” ancora richiama a qualcosa che avvolge la persona, qualcosa di molto vicino – dall’etrusco phersu che significa maschera – e ciò che richiama inevitabilmente il rapporto con l’altro, è il senso di un accedere ad un luogo sacro, privato e prezioso per ognuno. Allora, con un gioco di parole habit diventa adit, dal greco con equivalente in latino “accedere al tempio”, ovvero entrare con il giusto atteggiamento in uno spazio particolare e sublime: il rapporto con l’altro è come un accedere al tempio, se l’entrare è in armonia con l’ habit dell’altro, e potremmo chiamare tale entrare adit.
Se questo entrare diventerà uno “spingere in avanti”, un “premere” cioè agere, da cui deriva “agile” ma anche “agitare”, cioè muoversi velocemente, muoversi egoisticamente con il solo scopo di raggiungere un obiettivo, come se “l’agile” “agitasse” l’ingresso al tempio, allora adit diventerà agit, e abit non verrà più concesso, ovvero il tempio si nega come si nega l’essere che è in noi e la maschera che sorge alla porta del tempio diventa brutta e cattiva come quelle che sono poste sulle pareti della cattedrale di Notre Dame di Parigi; da qui hanno origine i conflitti con i compagni di classe, come se si volesse entrare senza aver pagato il biglietto nella cultura, nella differenza, nel tempio dell’altro.
1.b.Tre personaggi sull’onda del palinsesto.
Miss Abit era una signorina con modi molto garbati che amava la stabilità, il suo passatempo preferito era quello di guardare il cielo per capire se potesse rispecchiarsi nel suo piccolo pozzo interiore che amava chiamare anima. Mister Adit andava spesso a trovarla e da lei riceveva “riconoscimento”, era come se percepisse di esistere ed ella era come “compiaciuta” per queste attenzioni, come se anche lei sentisse di esistere. Questa loro amicizia si chiamava relazione ed entrambi, per amore l’uno dell’altro, facevano attenzione a non stonare di una sola nota.
Un giorno un energumeno di nome Agit decise di occupare l’abitazione di Miss Abit, agilmente s’inoltrò nel suo giardino e al momento giusto spinse fuori Mister Adit, che premurosamente aveva cercato di avvisare Miss Abit dell’intrusione.
Poi Agit premette a lungo sul campanello di Miss Abit, ma non ottenne risposta. Fece altri tentativi, ma non riusciva ad entrare nell’abitazione di Miss Abit, da lei riceveva “disconoscimento”. Dopo un po’, Agit iniziò ad identificarsi con i propri desideri, con il risultato che avvertiva come un vuoto interiore.
A causa di ciò iniziò a guardarsi indietro e capì che il suo “premere” non portava ad alcun riconoscimento, bensì solo ad imporre se stesso e questo, a sua volta, a “perdere se stesso”. Da questo guardarsi indietro comprese il senso del rispetto, rispetto necessario per poter ritrovare se stesso.
Lungo la strada del rispetto Agit incontrò Meteoro, un signore anziano che gli rivelò che in realtà in ognuno di noi esistono Abit, Adit e Agit: Abit e Adit funzionano come correnti ascensionali e Agit come corrente discensionale.
2.a.Desiderio e amore di sé
La soddisfazione di un desiderio troppo spesso si scambia per soddisfazione di un bisogno: è la nostra parte più fragile, quella più vulnerabile ma anche “il nemico che c’è in noi”. Da questo aspetto è nata una disciplina spirituale: il Buddismo, che indica la via tramite le otto rettitudini che potrebbero essere considerati i nostri veri bisogni – perdonino i buddisti l’eccessiva semplificazione – e insegna come liberarsi dalle passioni e dai desideri per ottenere la tanto ambita felicità. Dal punto di vista psicologico, il desiderio può essere definito anche come tensione verso un “oggetto” sbagliato, una “confusione” d’oggetto.
L’altro “nemico in noi” da combattere è il “ritiro dall’oggetto” ovvero dapprima indifferenza per tutto ciò che non è il proprio io o un prolungamento del proprio io, poi l’assoluta cecità per ciò che è al di fuori del proprio io e da ciò l’assoluta insensibilità per l’altro e l’eccessiva sensibilità per se stessi, amore solo per sé, quello “pseudoparadiso” che è in ognuno di noi chiamato narcisismo. Anche qui troviamo una spiritualità che, se correttamente intesa, cerca di contrastare questa seconda debolezza dell’essere umano, il Cristianesimo, con il suo comandamento primo di amare il prossimo come se stessi e con le sue beatitudini (beati i poveri, i miti, gli umili di cuore, i costruttori di pace ecc.) che potrebbero essere indicazioni pratiche di come vincere quel narcisismo che tanto ci rende infelici – anche qui perdonino i teologi per tanta semplificazione.
Bramosia e narcisismo, quatti quatti, impediscono la nostra crescita, assieme ad altri lati oscuri del nostro essere come ad esempio i sentimenti negativi, come la gelosia e l’invidia e, a dir il vero, fra averli dentro o incontrarli sulla propria strada, è di gran lunga più “desiderabile” la seconda ipotesi.
2.b.Una dura battaglia
Un tempo esistevano due grandi contee: la contea di Brama e la contea di Narchè. Il conte Brama s’innamorò perdutamente della contessa Narchè e la sposò. Da questo matrimonio nacque il regno di Infelix, posto adiacente al regno di Felix.
Gli abitanti di Infelix da un po’ di tempo avevano iniziato ad emigrare nel regno di Felix, cosicchè Brama e Narchè erano irati, perché a risentirne era l’economia del regno ed in particolare la loro stessa ricchezza. Allora annunciarono battaglia al re di Felix, di nome Felix, un bonaccione sobrio e distaccato proveniente dalla casata degli Omili. Costui aveva sposato una romantica principessa della casata degli Egonograzias di origine spagnola, di nome Agapesa. I sovrani di Felix non avevano alcuna voglia di iniziare battaglie e così Brama e Narchè, per evitare ulteriori rimandi, concessero loro di scegliere le armi per la battaglia. I regnanti di Felix capirono che questa battaglia era ormai inevitabile, così accettarono e scelsero di comune accordo, come unica arma, il discorso e solo loro quattro come partecipanti alla battaglia. Narchè andò su tutte le furie poiché sosteneva che non si era mai visto un regnante partecipare direttamente ad una battaglia, ma Brama iniziò a farle intravedere i vantaggi dell’eventuale vittoria: non avrebbero avuto perdite di uomini e potevano impossessarsi di un regno dieci volte più grande del loro. Narchè capì che poteva essere la prima e unica sovrana di un regno tanto grande e accettò.
La battaglia iniziò e Brama attaccò Felix dicendo che il suo regno era fittizio, ma Felix lo neutralizzò con un semplice: “Tu sai che non è vero”, allora Agapesa si parò di fronte a Narchè, ma Narchè s’accorse di non sentire nulla e di vedere solo le labbra di Agapesa muoversi, allora s’irritò e chiese perché mai muovesse solo le labbra e non parlasse. Brama corse in suo aiuto, ma fu costretto a dirle che tutti sentivano ciò che Agapesa diceva, solo Narchè non lo sentiva. Narchè si spazientì e disse:”Ma se non sento, come faccio a combattere?” A Narchè mancava la capacità di sentire perché ascoltava solo se stessa, allora Brama chiese di sospendere la battaglia, ma Felix non volle e svelò loro che se avessero vinto la bramosia e il disprezzo per l’altro che si annidava in loro, potevano vincere. Brama si oscurò in volto e disse che poiché era stato a lui concesso di ottenere tutto ciò che voleva, la sua bramosia era infinita e non poteva essere vinta. Allora Felix gli propose di iniziare proprio da quella battaglia che aveva perso. Per una volta infatti non aveva ottenuto ciò che voleva e per un attimo Brama sperimentò il distacco, si sentì felice e lo trovò interessante. Narchè per la prima volta pensò che forse di fronte aveva una persona che stava dicendo qualcosa d’interessante, ma ella era troppo presa da sé, non poteva sentire. Felix e Agapesa stavano iniziando ad avanzare e a trasformare Infelix in Felix e qualche emigrato da Infelix stava pensando all’ipotesi di tornare nella sua terra d’origine.
Morale: non desiderare cose inutili, ma cerca la verità in tutte le cose, non sentirti così superiore da non sentire più cosa ti dice l’altro, ma poniti in vicinanza senza confonderti con lui e accogli nel tuo cuore ciò che di interessante ha da dirti, così crescerà in te il regno di Felix e scomparirà quello di Infelix.
3.a. Effetto televisione sullo sviluppo psico-affettivo
Le nuove generazioni non hanno potuto sottrarsi all’influenza dei mass media e spesso non si tiene sufficientemente in considerazione l’aspetto frustrante sotteso, ovvero “ascoltare senza essere ascoltati”. Noi siamo cresciuti in contesti dove l’interlocutore ci vedeva, noi potevamo rispondere e modificare i suoi messaggi o atteggiamenti, anche una non-risposta era una risposta, come ampiamente teorizza la psicologia sistemica, ma i giovani d’oggi sono cresciuti impiegando molto tempo a guardare ed ascoltare la televisione senza essere da lei guardati ed ascoltati. Non possiamo lamentarci della loro fragilità, del loro sentirsi “invisibili”, del loro bisogno di far chiasso e di farsi notare, l’ascoltare al di là di un video è come non esistere, è come un furto, è un rubare l’ attenzione senza dare altrettanta attenzione in cambio, viene tolta la possibilità di comunicare e far sì che qualcuno ti presti attenzione. Questa può essere considerata una forma subdola di narcisismo “subito”, e da questo narcisismo si può apprendere l’atteggiamento fondamentale nei confronti della vita, allora avremo ragazzi che non sanno e non vogliono ascoltare, che vogliono solo farsi notare o lasciare il segno del loro passaggio, come talvolta capita negli stadi o con i graffiti sui muri, ragazzi che hanno appreso l’indifferenza proprio da quelli che sembravano innocui passatempi, è come se fosse stata loro rubata “la relazione e il suo tempo” in cambio di fittizio benessere non impegnativo a cui non sanno rinunciare.
3.b.La sindrome del fantasma
In un castello popolato da fantasmi viveva il fantasma Certosino, era il fantasma di un frate certosino morto 784 anni prima. Quando il fantasma Certosino girava per il castello, percepiva solo rumori, oggetti rompersi, ed il castello del Conte Scolastico stava andando sempre più in pezzi. Piuttosto scocciato, il fantasma Certosino decise di recarsi dalle autorità competenti per chiedere spiegazioni. Giunto da San Pietro dopo un peregrinare fra inferno e purgatorio senza ottenere alcuna risposta, anche San Pietro, scuotendo il capo, gli disse che per il castello del Conte Scolastico era già stato tentato di tutto e che non c’era nulla da fare. Il fantasma Certosino lo minacciò che si sarebbe suicidato, anche se in realtà non era possibile, perché lì la vita, pardon, il dopo-vita, non era più possibile. San Pietro, impietositosi, gli indicò le nuvolette da seguire per arrivare a Lui, l’Unico a sapere cosa fare. Il fantasma Certosino non perse un millesimo di eternità e si recò da Lui, che si concesse con le sembianze di un bambino e naturalmente gli disse: “So già cosa mi devi chiedere, ma prima ti dico che nel castello dove sei, come in tanti altri castelli costruiti dalle menti degli uomini, nessuno si rende conto dell’esistenza degli altri, pensano di esistere solo loro, ma è proprio per questo che non sentono di esistere e da ciò deriva la loro sofferenza, sentono che qualcun altro intorno a loro esiste, ma non lo vedono e così, per farsi sentire, fanno rumore, rompono oggetti, causando proprio quella distruzione, che tu vorresti cessasse. E’ per questo che sei qui e ti devo dire che ho mandato anche il mio Unico Figlio per offrire gratuitamente altro Amore, ma quei testoni hanno chiuso la porta convinti come sono di essere dio. Basterebbe solo che cogliessero questo piccolo particolare, che con un termine in “teologhesse” si definisce Verità.” Il fantasma Certosino chiese se si potesse fare un’ eccezione per la Contea Scolastica, allora Lui rispose che ci stava provando con …
4.a.Firmare senza farsi riconoscere
Cosa ci sarà dietro a così poco rispetto per cose che non ci appartengono o che sono state fatte da altri? Ancora un “fantasma” che vorrebbe esistere? “La mia firma in tutta la città” .… peccato che non si possa riconoscere: una firma anonima, che paradosso! Eppure la convinzione in chi la fa che susciti attenzione, interesse perché si discosta dall’urbano e da ciò che forse rappresenta, ovvero l’anonimia, il segno dell’anonimia si traduce in graffito ma ancora resta immobile in questo destino e chi lo fa, ancora non riesce a cambiare il proprio destino, l’ineluttabile anonimo destino.
4.b.Il gatto che si scelse il nome
C’era un gatto rosso che frequentava il giardino di una villetta nei pressi di Magenta. Da tipico gatto di strada, stava solo pochi secondi per sbaffarsi il cibo, poi spariva. Un giorno gli venne una macchietta sul pelo e la persona che gli dava il cibo si preoccupò tantissimo e chiamò l’ASL. Dopo diversi agguati, venne preso e messo in una gabbia per curarlo, ma con il passare del tempo il micio si ammalava sempre di più e gli era venuto anche un forte raffreddore. Chi accudiva il micio iniziò a preoccuparsi e cercò qualcuno a cui darlo. Quando lo trovò, glielo affidò nella speranza che il gatto, non essendo rinchiuso in una gabbia, si riprendesse. E in effetti fu così: una volta libero, il micio riprese vitalità e voglia di mangiare. Inizialmente venne chiamato Magenta, ma il micio non rispondeva, poi lo si chiamò Pluto, ma anche a questo nome non accennava minimamente a reagire. Si tentò allora con Romeo, ma nulla da fare. In un pomeriggio caldo e soleggiato, quando non resta altro da fare che vagare con la mente e rimanere immobili davanti a un ventilatore, le associazioni si avvicendano ed ecco il “motore immobile” – ah già, ma chi l’ha scritta questa cosa? Plotino, ah sì, mi pare proprio Plotino. Poi lo sguardo si sofferma sul micio: “ Plotino!”, ed ecco un cenno di risposta e nei giorni seguenti, stessa cosa; poi Plotino divenne Plotty e il micio rispondeva solo al richiamo Plotty o Plotino.
Il micio si era scelto il nome come il graffitaro: aveva potuto farlo oppure l’aveva voluto? Ma dopo essersi scelto il nome, perché rimanere anonimi? E’ questo che non si capisce negli uomini: i paradossi che contraddistinguono la maggior parte delle loro azioni. Almeno il micio, una volta che il nome gli piaceva, si comportava coerentemente, rispondeva a quel nome, ma l’essere umano no, prima si sceglie il nome, poi non lo fa sapere a nessuno, lo scrive in modo indecifrabile e poi si lamenta perché nessuno lo nota!!!!
5.a.Firmare per imporsi: il dialogo che non c’è
E’ possibile che i graffitari non firmino solo per lasciare il segno, ma per imporsi: proprio perchè non vengono guardati né ascoltati, vogliono imporre la loro presenza, anche se anonima – anzi, per assurdo, forse meglio, così non devono impegnarsi in discussioni ecc. – si impongono e basta su “cose” non loro, su muri bianchi che loro non hanno chiesto, non hanno voluto, per i quali nessuno ha chiesto la loro opinione. Il vero problema è sempre comunque l’assenza di dialogo, l’assenza della “fatica” del dialogo, dello spiegare, motivare le proprie affermazioni. Lo vedono gli insegnanti: i ragazzi non sanno argomentare, non sono abituati. Argomentare è “faticoso”, impegnativo, non basta il telecomando. A tale proposito, in un certo senso, l’avvento della videocassetta prima e del dvd dopo ha ulteriormente peggiorato la situazione, perchè si può anche bloccare lo scorrere di una storia dove si vuole, farla tornare indietro, saltare…tutto “on demand” – o forse a volte potrebbe anche essere utile, se servisse però a soffermarsi su una parola o una frase o un’immagine per rifletterci su, come si faceva con i libri.
5.b.Le stelle non hanno l’interruttore e nemmeno il telecomando.
Nella notte di San Lorenzo un astronomo portò il figlio Slocco nel suo osservatorio per fargli ammirare il fenomeno delle stelle cadenti, ma il figlio era poco paziente e tutte le volte che appariva una stella cadente, aveva lo sguardo sul suo cellulare. Il padre inutilmente diceva: “Eccone là una!”, perché il figlio, tolto lo sguardo dal cellulare, non faceva in tempo a vederla, poi s’irritava e diceva : “Che stupide stelle! Cadono quando non le posso vedere” – inutilmente il padre gli faceva notare che non era colpa delle stelle, ma era lui che non guardava il cielo, che continuava a guardare il suo cellulare. Ma Slocco non ascoltava, anche perché con gli auricolari stava ascoltando per la 2345esima volta un brano musicale di moda. Poi, preso da una certa curiosità, chiese al padre di filmarli, così avrebbe potuto vederseli a casa con comodo, ma il padre rispose che non era possibile, perché le stelle vanno viste senza interruttori e senza telecomando. Tornando a casa, Slocco sentì la conversazione di una bambina con suo padre: “Papà, davvero la mamma è quella stellina che mi hai fatto vedere prima?” “Ma certo, è sempre in cielo e ti vede e protegge sempre” “ Ma papà, allora ho capito: la mamma, come tutte le stelline, non si spegnerà mai, così anch’io per te e tu per me, vero?” Slocco disse a suo padre che quei due si stavano proprio illudendo. Suo padre non aveva parole per esprimere la propria impotenza e amarezza nei confronti del figlio e non rispose, ma Slocco pensò di aver detto una cosa molto vera e rafforzò il suo convincimento, senonché un collega del padre, anch’egli astronomo, disse a Slocco: ”Sei tu che ti illudi pensando di poter conoscere il cielo in un video, e non comprendi che alcune cose molto sottili possono essere spiegate solo con le analogie, l’amore non si può toccare, ma è come una stella, che non si spegne mai anche quando non si vede perché c’è il sole, ovvero non si vede perché magari la persona è morta, ma ciò è molto più reale del cellulare che hai in mano, perché l’amore pulsa sempre come le stelle, il tuo cellulare invece semplicemente ti fa ricordare che ti manca qualcosa…. Sarà questa stella pulsante!!!!”
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